L’intervista

Tronchetti Provera: «Italia-Cina, sì alle regole, no all’ideologia. Ccon accordi chiari avremo solo benefici»

di Federico De Rosa

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«La Cina? È una grande opportunità. Ovviamente se si firmano accordi equilibrati». Marco Tronchetti Provera «convive» dal 2015 con un azionista cinese, ChemChina, che oggi detiene il 45% della Pirelli, uno dei marchi storici dell’industria made in Italy. Quando parla di «accordi equilibrati» lo fa a ragion veduta, visto che quello siglato con i partner cinesi rappresenta il punto di sintesi ideale tra l’opportunità di fare business in un Paese da 1,5 miliardi di abitanti e la tutela di un brand storico del made in Italy, come Pirelli: «Per trasferire la sede o la tecnologia fuori dall’Italia — spiega il vicepresidente esecutivo e amministratore delegato della Pirelli — serve il 90% del capitale a favore». Non solo: gli accordi siglati con ChemChina oltre a confermare Tronchetti alla guida del gruppo dei pneumatici fino al 2020, prevedono che sia il manager a nominare il suo successore.

Da imprenditore, che cosa pensa degli accordi come «La Via della Seta» o «Made in China 2025»?
«Considero positivi questo genere di accordi, se si selezionano gli investimenti e si aprono nuovi mercati per le aziende italiane. Questo può avvenire solo negoziando accordi chiari e trasparenti, in cui ovviamente deve emergere un beneficio per il nostro Paese capace di contribuire a rafforzarne la competitività».

Costruire gli accordi spetta alle nostre imprese, ma anche la politica deve sostenerle e lavorare perché sia possibile. Che ruolo devono avere le istituzioni nella ricerca di un punto di sintesi e di equilibrio?
«Il ruolo della politica deve essere quello di avere una visione di lungo termine e di costruire ogni passaggio in funzione di obiettivi chiari. Sono l’improvvisazione e l’ideologia che possono portare a commettere errori. Mi pare tuttavia che oggi le cose vengano affrontate in modo più concreto e pragmatico».

La questione Cina va al di là dei soli aspetti commerciali e industriali delle possibili partnership. La politica sembra preoccupata per l’avanzata dei cinesi. C’è chi vede della minacce e sul piano internazionale vi è il monito del presidente Usa, Donald Trump...
«Oggi mi sembra che tutti, dalla presidenza del Consiglio alla presidenza della Repubblica, sottolineino il mantenimento del posizionamento italiano nelle alleanze tradizionali. Quindi non vedo nessun rischio oggettivo. La Cina ha bisogno di allargare le sue relazioni economiche e il mondo per crescere ha bisogno della Cina, che oggi rappresenta il 40% circa della crescita mondiale. Non approfittare di questo interesse comune significa mettere a rischio la futura crescita globale e l’aumento del livello di benessere per tutti. Ripeto, bisogna stabilire bene le regole del gioco, ma gli interessi sono convergenti e un’opportunità da non perdere».

Siamo un po’ al «quello che è buono per la Cina è buono per il mondo».
«Non esiste per nessun Paese questa regola. È buono solo quello che rappresenta il punto di incontro tra gli interessi di tutti. Come dicevo bisogna selezionare i progetti e dare spazio a quelli che aiutano a crescere anche il resto del mondo. Tutti gli accordi, se non sono fatti bene, costituiscono un pericolo. Se sono costruiti nel modo corretto non si deve temere nulla. E’ fondamentale non improvvisare e occorre affrontare chi ha competenza con altrettanta competenza e chiarezza di obiettivi. Facendo le cose seriamente le parti possono trovare un punto di incontro per crescere insieme».

Com’è il suo rapporto con gli azionisti cinesi?
«Fin dal primo giorno abbiamo avuto rapporti chiari e stretto accordi, riflessi anche nel nostro Statuto, che hanno garantito l’italianità dell’azienda e l’autonomia del management. Sono stati totalmente rispettati dai partner cinesi, così come noi abbiamo rispettato tutti gli impegni relativi allo sviluppo in Cina e in Asia, avvenuto anche con il loro contributo».

Oggi Pirelli è più cinese o più italiana?
«Oggi Pirelli è italiana e rimarrà italiana. C’è un importante azionista cinese che dal primo giorno ha mostrato di voler contribuire alla sua crescita rispettandone la storia e le competenze manageriali patrimonio della società. Al punto tale da inserire nello statuto delle tutele per la sua italianità e per sua la tecnologia, radicata in Italia. Grazie agli accordi siglati con l’azionista cinese, Pirelli è la società italiana che ha più garanzie e certezze di rimanerlo anche in futuro».

Nel quadro geopolitico che si sta delineando, non corriamo il rischio che la Ue resti schiacciata tra Usa, Cina e Russia diventando sempre più marginale?
«Oggi l’Europa non ha un strategia comune a livello di politica estera, di difesa, di politica energetica o di sviluppo infrastrutturale. Affrontare macroaree che sono anche potenze nucleari senza condividere un progetto pone a rischio tutti i paesi Ue. Solo attraverso un’azione comune, e facendo leva anche sull’enorme privilegio di essere l’area con una radice culturale fortissima e la storia più ricca, potremo contribuire agli equilibri mondiali. Se non impugna i suoi valori e non li mette alla base di visioni condivise, l’Europa sarà un vaso di coccio tra vasi di ferro».

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